03/11/2021

Inchiesta sul Giallo Napoletano – Diana Lama

Tra i testimoni della terza ed ultima “udienza” dedicata a Matilde Serao nell’ambito della nostra inchiesta sulla storia del Giallo Napoletano in collaborazione con la libreria IoCiSto ci sarà Diana Lama.

Medico e ricercatore universitario, ha scritto circa sessanta racconti disseminati in antologie, e diversi romanzi tradotti anche in Francia, Russia e Germania, tra i quali sono da ricordare almeno Solo tra ragazze, La sirena sotto le alghe, Il Circo delle MaraviglieL’anatomista27 ossa.

Vincitrice del Premio  Alberto Tedeschi del Giallo Mondadori nel 1995 come coautrice del romanzo Rossi come lei,  fondatrice e a lungo Presidente di Napolinoir (progetto nato dalla volontà di alcuni scrittori napoletani di creare un punto di aggregazione per gli appassionati del brivido e del mistero) ha anche creato il Premio Parole in Giallo che è stato il primo concorso letterario giallo diretto alle scuole di ogni ordine e grado in Italia. 

Attualmente è in libreria con “Santa Sanità”, romanzo breve (o racconto lungo) pubblicato da Edizioni San Gennaro nell’ambito della collana sVInCOLI che affida a diversi autori il compito di tracciare con la massima libertà un ritratto del Rione Sanità attraverso il rapporto con questo territorio unico.

Protagonista del libro è Peppeniello, un undicenne che si muove tra i vicoli intrisi di leggende, violenza, compassione e perdono, alla ricerca del suo posto nel mondo.

 Durante la presentazione da IoCiSto Diana Lama ha spiegato che Peppiniello corrisponde ad un personaggio ricorrente nel suo processo creativo, che appare anche in epoche e contesti diversi

Per questo motivo le abbiamo chiesto di immaginare come sarebbe stato Peppiniello nella Napoli di Matilde Serao, quella raccontata in maniera magistrale nel suo capolavoro “Il Ventre di Napoli”

 Ecco il risultato: grazie ancora a Diana per la sua generosità e buona lettura!

 

PEPPENIELLO DEL TEMPO CHE FU

di DIANA LAMA

Il Peppeniello ai tempi di Matilde Serao sarebbe stato una creatura meschina partorita da una madre disperata, una serva miserabile e già vecchia a trent’anni, una lacera pezzente che si trascinava di casa in casa per fare le pulizie, svuotare secchi di luridume, lavare per terra, faticare fino alla morte.

Peppeniello sarebbe così cresciuto affidato alle sorelline, abbandonato sulle scale di casa ad aspettare qualcosa, nutrito col latte della madre finché ce ne fosse stato, e poi sarebbe sopravvissuto arrangiandosi, a volte attaccato alla tetta generosa e avvizzita di una vicina insieme al neonato di quest’ultima.

Più avanti, fornito di denti e di fame abissale, in giorni benigni con un soldo avrebbe potuto spartirsi una pizza con le sorelle, un pezzo di pasta fetente condito con pomodoro quasi crudo e uno sputo di olio, aglio e origano. Oppure, con lo stesso soldo, i bambini avrebbero potuto scegliere di comprare uno spassatiempo, e gonfiarsi lo stomaco con semi di melone o popone, fave e ceci cotti in forno. Mezza giornata a rosicchiare, pancia piena e la fame tale e quale.

Quando invece andava bene, la madre sarebbe tornata a sera tarda con un fagottino di avanzi dalle casa dei padroni, mai rubati, no, ma elargiti per pietà e con la faccia dura, e allora sarebbe stata festa grande.

Altre volte, la sera si mangiava con l’acqua dei maccheroni di una vicina più abbiente, versata sopra ai tozzi di pane duro. Messo a dormire in un cassetto, finché ci entrava, Peppeniello si sarebbe addormentato soddisfatto e quasi sazio.

Scampato al colera e alla fame, Peppeniello avrebbe potuto costruire un altarino con l’aiuto delle sorelle, e chiedere l’elemosina davanti casa. Sarebbe bastato poco, un pezzo di cero preso in chiesa e una stoffuccia colorata rubata da un balcone, un po’ di sorrisi e chiacchiere monelle, per impietosire un passante frettoloso.

Forse più in là, sopravvissuto a una qualche altra malattia, a quattro o cinque anni Peppeniello sarebbe stato rasato, vestito da monacello, scalzo ma sempre con i suoi occhi neri e furbi da ladro, che già anticipavano la sua futura professione. Avrebbe posseduto, celato sotto i panni un ossicino, o un pezzetto di legno, una reliquia per proteggerlo da tutti i mali.

E poi, cresciuto un altro po’, Peppeniello sarebbe diventato il monello che va a prendere i numeri del lotto, sia quello ufficiale che il vietatissimo gioco piccolo. Sarebbe spettato a lui, in quanto il piccirillo più veloce, e ci avrebbe messo impegno, a tornare correndo all’imbocco del suo vicolo, a gridare ai vicini i numeri a squarciagola.

Perché nel vicolo giocavano tutti, poveri, pezzenti e derelitti, e se mai qualcuno avesse vinto, sarebbe toccato un premio anche a lui, qualcosa da mangiare, forse addirittura un cartoccio di fragaglia o un piatto di maccheroni conditi.

Il sogno segreto di Peppeniello però sarebbe stato il latte. Un bel bicchiere di latte appena munto, che vedeva tutti i giorni salire col cestello ai piani alti, dove abitavano i signori come quelli da cui sua madre andava a faticare.

Il vaccaro passava ogni giorno, ma Peppeniello saprebbe bene che quel latte non lo avrebbe assaggiato mai.

Ed è per questo, prima ancora che per portare dei soldi a sua madre, e farle nascere un sorriso in faccia, ma proprio per provare il sapore del latte fresco, che Peppeniello deciderà di andare a rubare, conoscerà un Angelo sceso dall’inferno e seguirà la sua sorte.

Perché è ciò che fanno i Peppenielli di tutte le epoche.

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