01/11/2021
Matilde Serao visse sin da piccola l’ambiente della redazione di un giornale grazie al padre. Nonostante questa influenza, all’età di otto anni non sapeva ancora né leggere né scrivere. Imparò più tardi, nel 1874 a Napoli quando conseguì il diploma magistrale.
Nel 1878 scrisse la sua prima opera, Opale. A 26 anni si trasferì a Roma e collaborò col quotidiano Capitan Fracassa, dove avvenne il primo incontro con Edoardo Scarfoglio. Dalla loro unione nacquero quattro figli maschi.
In quegli anni pubblicò Pagina Azzurra, All’erta!, Sentinella, La conquista di Roma, Piccole anime, Il ventre di Napoli. Fondò il Corriere di Roma, Il Mattino e creò la rubrica Api, mosconi e vespe.
Nel 1926 fu candidata al Premio Nobel per la letteratura, ma Mussolini bloccò la candidatura per via delle sue posizioni antifasciste. Nel 1927 fu stroncata da un infarto mentre scriveva.
Meno conosciuta è la sua attività di autrice di gialli, tra i primi ad essere pubblicati in Italia.
IL DELITTO DI VIA CHIATAMONE
Pubblicato nel 1907 in appendice al “Giorno” sotto lo pseudonimo di Francesco Sangiorgi, poi col suo vero nome l’anno seguente a cura dell’editore Parrella di Napoli, mentre nell’edizione Salani del 1916 il titolo diventa “Temi il leone”; ultima edizione cartacea reperibile on-line quella in due volumi del 1979 curata sempre dall’editore Salani ma col titolo originale (nell’immagine sopra le due copertine)
Con questo libro Matilde Serao diede vita al giallo partenopeo, via già aperta da Mastriani.
I protagonisti sono il malvagio duca di san Luciano, la tenera Teresa Vargas, l’attraente Anthonia d’Alembert, il caritatevole marinaio Gennarino Esposito e Tore il camorrista. La storia è densa di amori, intrighi e malattie. Con dileggio e appiglio di donna di mondo, Serao descrisse con zelo ambienti di Napoli, mostrando un sentimento terso e filantropo verso le indigenze dei napoletani, non disdegnando la letteratura popolare, ispezionandola senza accentuazioni del mestierante.
La narrazione scorre gradevolmente, affiora l’origine del poliziesco, senza investigazioni ossessive né presenze di protagonisti dotati di grande acume che intuiscono moventi o assassinii. La giustizia è presente e l’idea della stessa si compenetra con l’amore indivisibile.
Con questo giallo Serao fu un’anticipatrice di linguaggi e mode, narrando col tratto inconfondibile della sua penna vicende di un’epoca, di uomini e di donne.
Ritengo che uno degli obiettivi principali della scrittrice fu proprio quello di spingere il lettore a girare pagina, stimolando curiosità attraverso l’uso sapiente della suspense, legata ai timori e agli istinti primari di ognuno di noi.
LA MANO TAGLIATA
Prima edizione Salani, Firenze, 1912; sopra la copertina dell’ultima edizione pubblicata da Euridice nel 2020 (solo in versione digitale) con prefazione tratta dai “Ritratti di Signora” di Elisabetta Rasy, postfazione di Nadia Verdile, un estratto da “Note di letteratura italiana” di Benedetto Croce e alcuni stralci dalle lettere di Matilde Serao “Lettere di una viaggiatrice”
Nel secondo giallo di Matilde Serao il giovane conte milanese Roberto Alimena, un dandy dannunziano, insensibile al fascino femminile, durante un viaggio in treno da Napoli verso Roma incontra un uomo dagli occhi verdi e inquietanti. Una volta raggiunto l’albergo, Roberto si accorge che l’uomo tra i bagagli ha dimenticato una scatola di cuoio. La apre e rinviene una mano femminile dalla carnagione chiara, ben conservata, con dita adorne di anelli, di cui si innamora.
Da qui comincia per lui l’impresa eroica della ricerca della proprietaria della mano.
In questo incipit macabro ma seducente Serao creò anche qui un’atmosfera densa di suspense. Dopo una descrizione di Alimena, la storia si spinge in atmosfere degne dello stile di Poe. Il Maestro è un personaggio satanico, spogliato della sua bellezza che però tiene in serbo la fiamma di un amore inattuabile, muovendosi in una Roma notturna, percorsa da suoni spettrali.
La storia è caratterizzata dalla passione amorosa di Roberto, del Maestro, di Ranieri e Rachele. Serao dimostrò di conoscere bene le tecniche del genere giallo, utilizzando la corrispondenza epistolare per sciogliere i nodi narrativi e amalgamando cliché in maniera intensa.
Credo infine che nella sua capacità narrativa non fu tanto docile nel dualismo tra il Bene e il Male ovvero tra Alimena ed Henner, così come la potente contesa tra Cristiani ed Ebrei.
Soltanto nella chiusa del giallo i nodi vengono al pettine grazie alle tre missive di cui il lettore potrà leggerne soltanto due. Anche qui la suspense crea notevoli apprensioni, paure, incertezze su ciò che accadrà, elementi utili per lo sviluppo del climax.